Gli inutili orrori del Medioevo iracheno: Una sintetica analisi sulla situazione in Iraq e sulle prospettive future in seguito alle tre impiccagioni di Saddam e i suoi principali uomini di potere. Di Alberto Negri (inviato del Sole24ore - 16 gennaio 2007). Reds - Gennaio 2007 L'impiccagione di due tra gli esecutori più spietati degli ordini di Saddam Hussein, con la testa del fratellastro del rais che rotola decapitata in una pozza di sangue, aggiunge un altro orrore al nuovo Medioevo iracheno, non fermerà la guerriglia dei sunniti e neppure la battaglia di potere che agita gli sciiti al comando di Baghdad. E' andata in scena una rappresentazione macabra che costringe Washington a prendere le distanze dal Governo iracheno, almeno sui metodi di queste esecuzioni. Non aiuterà nemmeno i piani di Bush che, su consiglio di Kissinger, uno degli artefici della ritirata dal Vietnam, sta leggendo avidamente la saggistica sull'insurrezione anti-francese in Algeria negli anni Cinquanta. Un parallelo preoccupante: fu la fine dell'impero coloniale francese e ci volle De Gaule, il generale-presidente, per tirare fuori Parigi dal pantano algerino. Il 10% della popolazione è fuggita dall'Iraq, i sondaggi, anche quelli USA, affermano che l'80% degli iracheni ritiene che si stesse meglio prima dell'occupazione, la ricostruzione è classificata come un fallimeto: se gli americani non hanno perso la guerra è solo perchè non è ancora finita. Anzi, potrebbe essere il preludio di un più vasto conflitto mediorientale. Mentre arrivano i rinforzi, il piano Bush incontra il primo fronte di oppositori non nelle falangi dei sunniti ma dentro o stesso Governo al-Maliki. Gli USA vorrebbero assestare un colpo decisivo sia alla guerriglia che alle milizie sciite come quelle guidate da Moqtada Sadr, l'uomo cui è stata consegnata in pratica l'esecuzione di Saddam e che ha potuto vendicare l'uccisione da parte del rais del padre, dei fratelli, e di uno zio. L'attuale leadership irachena è troppo dogmatica, influenzata dalle fazioni radicali, e non può fare a meno di venire a patti con i più estremisti. Uno dei portavoce di Moctada ha commentato il piano Bush dichiarando che "gli USA vedranno tornare in patria sempre più bare dei loro soldati". I segnali per gli americani sono preoccupanti. II comandante iracheno che dovrà coordinare gli sforzi bellici nella capitale, il generale Aboud Qambar, è uno sconosciuto ai comandi USA con forti legami con il profondo sud. La sua nomina è stata frutto di un compromesso con gli islamici radicali: c'è da dubitare che si metterà alla caccia delle milizie sciite e dell'esercito di Sadr. Il piano Bush prevede inoltre un ruolo repressivo di primo piano per la Polizia Nazionale, largamente infiltrata dalle milizie sciite: finora, insieme agli squadroni della morte, si è distinta soprattutto per aver partecipato alla pulizia etnica. Le operazioni antiguerriglia resteranno così confinate ai sunniti, destinate a esarcerbare ancora di più le divisioni settarie. La fitna, la lacerazione del mondo mussulmano, affiorata con rabbia dopo l'esecuzione di Saddam, si approfondirà e potrà coinvolgere altri attori. Questo è uno dei fattori per l'allargamento del conflitto ma non è il solo e neppure il più determinante. Bush ha pianificato in Iraq un terzo bersaglio oltre alla guerriglia e al-Quaida: l'Iran. L'obbiettivo di contrastare l'influenza iraniana è emerso chiaramente con l'arresto in Kurdistan delle guardie rivoluzionarie di Teheran. Si tratta di un'altra mossa che sta irritando una folta schiera di esponenti del Governo iracheno che all'epoca di Saddam furono protetti dal regime degli ayatollah e vedono nell'Iran non un nemico ma un alleato. Le pressioni su Teheran sono sempre più visibili. Una seconda portaerei a febbraio si unirà alla Eisenhower nel Golfo e altri caccia F-16 sono stati chierati in Turchia. Il segretario di Stato, Condoleeza Rice, ha detto che "la strategia americana è in evoluzione per contrastare il comportamento destabilizzante dell'Iran". Stephen Hadley, consigliere per la Sicurezza, l'uomo che Bush vede tre volte al giorno, si è spinto oltre affermando che "gli USA combatteranno in ogni modo i tentativi iraniani di stabilire un'egemonia regionale". Nel 2003 l'operazione anti-Saddam fu presentata come una parte del conflitto contro l'"asse del male" costituito da Iraq, Iran e Corea del Nord. Rovesciare il rais, si disse allora a Washington, avrebbe rappresentato un ammonimento nei confronti degli "stati fuorilegge" per convincerli a rinunciare alle loro ambizioni di potenza. E' accaduto l'opposto. La Corea è andata avanti con i test atomici e l'Iran sfida la comunità internazionale con i programmi per l'arricchimento dell'uranio. Stringendo adesso la morsa intorno a Teheran, a partire dall'Iraq, Washington punta a mettere in un angolo il presidente Ahmadiejad. I più ottimisti sostengono che è una mossa necessaria per aprire poi un negoziato con l'Iran da una posizione di forza. Ma si potrebbe rivelare un calcolo sbagliato e rafforzare la linea dura dei radicali iraniani e del medio oriente, come già è accaduto altre volte in passato. Gli USA stanno alzando così la posta di una scommessa ad alto rischio. Per uscire dalla palude irachena la diplomazia deve riprendere l'iniziativa, suggeriva il rapporto Hamilton-Baker, ma non sembra avere grandi spazi nei piani di Bush. Al contrario. Incapaci di vincere la guerra in Iraq e di costruire la pace in Medio Oriente, per gli USA l'orizzonte della politica estera appare oscuro. Una realtà amara e preoccupante, non soltanto per loro.
Immagini che rappresentano l'impiccagione di SADDAM